Di Antonietta Morena GattiNella giornata mondiale dell'ambiente si sono ripetute più o meno dovunque manifestazioni
soprattutto di giovani in tutto il mondo. Sì, perché i più preoccupati sono loro, i giovani, che, pur non avendo visto il mondo di qualche decennio fa, hanno capito che è in atto un cambiamento climatico evidente e quel cambiamento non lascia speranze di vita sulla Terra. Di vita come la intendiamo noi. La loro preoccupazione è ovvia: ad andare nel futuro tocca a loro. Il cambiamento era già stato denunziato seriamente per la prima volta dagli scienziati più o meno mezzo secolo fa, ma allora i reggitori del mondo fecero finta di niente. Allora avrebbero potuto fare tanto ma, dopotutto, si trattava di quelli che noi chiamiamo politici e i politici, a differenza degli statisti e dei capi pellerossa, hanno per orizzonte solo le prossime elezioni e tutto quanto è più lontano nel tempo semplicemente non è affare che li possa interessare. Ora una sedicenne, Greta, è diventata la voce e il simbolo delle paure dei suoi coetanei e, magari, anche di chi è un po’ più attempato. I politici cavalcano l'onda ambientalista: è “trendy”, attira voti, ma di fatto, al di là di chiacchiere da comizio di piazza e da salotto bene, due atteggiamenti agli antipodi spesso identici, continuano a non far niente. Fra 50 anni, e 50 anni fanno presto a passare, quando i giovani che oggi sono scesi in piazza dovrebbero essere vecchi, non abbiamo materia per indovinare se saranno ancora vivi. Quello che Greta forse non sa o, almeno, forse non conosce nei risvolti, è che già oggi il cambiamento climatico dovuto all'inquinamento produce vittime. Tante. Ufficialmente, perché lo dice l’OMS, vittime non dovute a nubifragi, uragani, inondazioni e, insomma, a quelli che in inglese tradotto si chiamano atti di Dio, cioè calamità su cui l’uomo non ha potere. E nemmeno dovute alle guerre guerreggiate così caratteristiche della follia umana. Ma vittime di malattie dovute all'inalazione di polveri da inquinamento ambientale. Oggi, piaccia o no, la maggior parte dei cancri è dovuta a modifiche irreversibili del DNA che interazioni profonde di nanoparticelle da contaminazioni ambientali con il DNA all'interno di una o più cellule sanno indurre. Lo sappiamo, lo sanno gli scienziati che hanno diritto a quel nome, ma non succede niente: i timonieri del mondo, i decisori, chiacchierano, allestiscono spettacolari tavole rotonde ma, di fatto, oltre non vanno. Finita l’esibizione, tutto è come prima. La religione del DIO denaro, perché solo a lui si deve la condizione in cui siamo sprofondati e sprofondiamo ogni giorno di più, vince su tutto e sarà quella che farà finire la vita su questo pianeta. La vita per l’Homo sapiens, sia chiaro, perché la sua fisiologia corre bilanciata su di un filo sottile e delicato, un equilibrio fragilissimo che lascia margini quanto mai esigui, non lontani da zero. Quando quell’equilibrio sarà turbato oltre una certa misura la Terra ne troverà immediatamente un altro e che quello si attagli a noi è a dir poco improbabile. Dopotutto è sempre stato così da quando esiste questo pianeta. Se, per magia, noi fossimo trasportati indietro nel tempo, quando, per esempio, l’atmosfera era composta di metano, d’idrogeno e di ammoniaca, non resisteremmo un minuto. Eppure la vita, sotto certi aspetti che a noi appaiono semplicissimi, c’era. E così più tardi quando entrarono grandi quantità di monossido e biossido di carbonio, noi saremmo morti in un fiat attorniati da un brulicare di forme di vita che trovavano in quelle condizioni il loro ambiente ideale. L’atmosfera muta continuamente e c’è chi, in un certo stadio del cambiamento, prospera e c’è chi si estingue. Alla Natura non importa un fico secco. Il cammino è già segnato e a segnarlo in modo più che rilevante, certo a deviarlo dal percorso evolutivo, siamo noi. I primi resti fossili di api risalgono a 65 milioni di anni fa ma gli studiosi reputano che esistessero già almeno da 55 milioni di anni. Noi esistiamo da un paio di milioni di anni: siamo dei nuovi arrivati e le probabilità, forse perché quelle probabilità ce le siamo volute, sono che il nostro sia quello che in termini cinematografici si chiama un cameo. Se non c’interessa che la nostra specie sopravviva, e forse, ad essere crudamente onesti, non ce n’è nessuna ragione, continuiamo pure indisturbati sulla strada intrapresa verso il precipizio. È bene sapere, però, che non c'è una seconda opzione e a salto fatto non si torna indietro.
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